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Agricoltori metropolitani

( 17 Luglio 2019 )

tendenza Ecoperiferia

Sempre più voglia di orti in città. Milano, con 2.600 ettari di zone coltivabili su poco più di 18 mila ettari complessivi di territorio, è il secondo Comune agricolo d'Italia dopo Roma. Un'anima verde destinata a crescere: micro spazi assegnati dai Municipi, cassoni nei giardini del centro o grandi orti condivisi, come quello a Niguarda nel Parco Nord che in quattro anni ha raggiunto i 150 associati. Non solo pensionati: l'orto ormai è una passione delle donne. ● a pagina 3 La delega all'Ambiente nelle mani del sindaco e la volontà di dare nuova linfa alla vocazione agricola della città nell'ambito della riqualificazione degli ex scali ferroviari: la giunta Sala sta spingendo l'acceleratore green e la Milano città d'acqua punta a diventare anche città verde. Parchi, alberi, ma non solo. Con 2.600 ettari di zone coltivabili su poco più di 18 mila ettari complessivi di territorio, è il secondo Comune agricolo d'Italia dopo Roma e le cifre, nei prossimi anni, saliranno: il nuovo Pgt, infatti, propone di vincolare ad area agricola oltre 3 milioni di metri quadrati. Sulla scia di questi numeri abbiamo fatto un viaggio nell'universo degli orti urbani, che affonda le radici nella storia della città. Erano i primi anni del secolo scorso quando l'Istituto Autonomo Case Popolari iniziò ad affidare ai suoi inquilini piccoli appezzamenti di terreno per la coltivazione orticola. E da allora, passando attraverso il boom del periodo fascista, il dopoguerra e le migrazioni dalle campagne alla città industriale degli anni Sessanta, il fenomeno degli orti urbani è diventato parte integrante del tessuto cittadino. Tanto che a oggi, secondo una ricerca di Italia Nostra realizzata con Politecnico e Statale, le colonie ortive presenti sul territorio della Città metropolitana sono 2.255 per un'estensione che supera gli otto milioni e mezzo di metri quadri (di questi solo una parte è interamente coltivata, mentre una fetta è costituita da terreni a vocazione mista).
La rete delle coltivazioni cittadine è variegata: ci sono gli spazi messi a bando dai Municipi con criteri di assegnazione variabili che prevedono premialità ad esempio per i disoccupati, i disabili o chi ha un Isee basso, oppure che puntano a promuovere mix generazionali (over 60 e under 35) e hanno un costo medio di affitto di 60-80 euro l'anno; ci sono gli orti condivisi gestiti dalle associazioni, le esperienze private, i laboratori scolastici e così via. Cavoli, insalatine e pomodori si coltivano un po' ovunque: nei cassoni di qualche giardino condiviso in centro, nei terreni periferici strappati al degrado, lungo fiumi e canali, nei parchi. Si zappa in tutta la città: di particelle comunali affidate ai cittadini ce sono, tra le tante, in via Alghero (tra Turro e Gorla), vicino al cimitero di Lambrate, in via Bottoni (zona Ripamonti), in via Selvanesco (tra Gratosoglio e Chiesa Rossa), in via Danusso (Boffalora), a Muggiano, in via Viterbo (Bisceglie), in via Fabrizi (tra Certosa e Quarto Oggiaro), sulla copertura del sottopassaggio Eritrea-Expo e in via Cascina dei Prati (Bovisasca). Ne ospitano diverse anche i parchi: Bosco in Città, Trenno, Parco delle Cave, Parco Nord, Parco Alessandrini. A questi si aggiungono gli orti condivisi come quelli di Niguarda, di Legambiente in via Padova o del giardino condiviso di via San Faustino a Lambrate e le esperienze messe in campo dai privati, come gli orti di via Chiodi alla Barona. In arrivo, poi, ci sono nuove coltivazioni in via San Mamete (quartiere Adriano), in via Cazzaniga (quartiere Rizzoli) nell'ambito del progetto ReLambro, in via Lampugnano e in via Balsamo Crivelli (zona Naviglio Grande). Le aree aumentano se si considerano anche gli orti abusivi, a volte tollerati in nome di una buona gestione che garantisce la riqualificazione di qualche tratto periferico di città, o spesso oggetto di tentativi, più o meno riusciti, di smantellamento: lungo il Naviglio Martesana, il Lambro, o accanto alla baraccopoli dietro Piazza d'Armi.
Ma al di là di cifre e mappe, quella degli orti urbani in città è un'onda verde in continua evoluzione: «Mentre anni fa - spiega Silvio Anderloni di Italia Nostra - l'ortista urbano era un uomo anziano, per lo più in pensione, oggi c'è una nuova generazione di "agricoltori cittadini" che contempla anche trentenni e quarantenni, con una quasi parità tra uomini e donne. Se prima l'orto metropolitano era uno strumento, soprattutto per gli immigrati dal Sud o dalle campagne, per mantenere le radici contadine o per contribuire al bilancio familiare, ora è un'occasione di recupero sociale e ambientale».

Fonte: La Repubblica, Milano
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